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Le forme dell’attesa

Le forme dell’attesa

Aspettare. Questo è il problema.

Sto facendo un torneo di singolo e doppio e sto aspettando il mio turno. Dovrò giocare dalle 15:00.

Sto “davvero” aspettando da stamattina. Ho dovuto fare un corso e la mia mente in parte era , a dopo, a lei, alle 15.

Aspettare è il problema. Le soluzioni infinite.

Le mie soluzioni sono le seguenti:

  • Tra poco andrò al Circolo, cercando di arrivare venti minuti prima. Lì mi siederò su una panchina e prenderò un po’ di sole. Poi mi sono cambierò. Sempre con la mente su un futuro a breve, non proprio tranquillo.

Tutti tentativi di non pensarci e di rilassarmi. Inutili, ovvio.

  • Nei giorni scorsi è stato anche peggio. Non volendo sentire la tensione degli altri match, cercavo di isolarmi, facendo stretching, ripassato i miei punti critici, bevuto.
  • E, sempre, mi tengo lontana da chiacchiere e risate. Da gente che mi saluta, che mi parla. Che mi fa l’inboccallupo. Sempre. Più che posso. E’ così difficile giocare a tennis; ci manca anche che devo spostare l’attenzione dai miei obiettivi. Oddio: potrebbe essere utile spostarli e distrarsi… No: nel tempo ho capito che è solo fatica in più.
  • E, nel frattempo, respiro poco e male. Lo noto e torno a respirare ed a sentire il respiro e i piedi. E’ una danza continua, che stanca anch’essa.

L’ansia c’è e la tensione che porta con se anche. Non ci faccio niente, alla fine. Me le tengo.

Non posso far altro che aspettare e notare quello che accade, dentro di me e fuori di me.

Io che noto che sto notando.

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